L’appena trascorso 10 dicembre 2015 è stato il 67° anniversario dalla firma della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (Universal Declaration of Human Rights), un documento la cui redazione venne promossa dalle Nazioni Unite e adottata dall’Assemblea Generale, e che, col passare del tempo, è arrivata a rappresentare una vera e propria pietra miliare in materia di human rights, ossia di diritti umani.
La sua importanza a livello internazionale è dettata dalla graduale risonanza mondiale che tale dichiarazione ha assunto a seguito di una presa di coscienza delle atrocità commesse nella Seconda Guerra Mondiale e l’indignazione che ne è conseguita. Questo documento riveste un’importanza storica fondamentale, essendo proprio il primo documento a sancire, appunto, ‘universalmente’ (ovvero in ogni epoca e in ogni parte del mondo) i diritti che spettano all’essere umano e rappresentando il punto di partenza dal quale si sono diramati i successivi sviluppi in materia di diritti umani a livello internazionale, come il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambi elaborati dalla Commissione per i Diritti Umani ed adottati all’unanimità dall’ONU il 16 dicembre 1966, e la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU – Convention européenne des droits de l’Homme), documento importantissimo redatto e adottato nell’ambito del Consiglio d’Europa.
La Dichiarazione esprime, innanzitutto, la manifesta determinazione degli Stati membri dell’ONUdi contrapporre un nuovo ordine internazionale, fondato sul rispetto dei diritti dell’uomo, alle ideologie e ai regimi, sconfitti nella Seconda Guerra Mondiale, i quali avevano basato la loro concezione del mondo sul concetto di supremazia, di superiorità di una razza sulle altre, una concezione che, oltre al conflitto in sé, aveva condotto alla tragica e ingiustificabile esperienza del genocidio. Ciò che maggiormente colpisce di questa Convenzione e che rappresenta un punto di svolta rispetto al passato è il cambiamento nelle concezioni relative al rapporto tra Stato e individuo, giacché presentò in maniera ‘prepotente’ sulla scena internazionale la materia concernente tali rapporti che, di fatto, sino ad allora era considerata irrilevante, essendo ogni Stato libero di trattare i propri ‘sudditi’ come reputava più opportuno. Grazie alla Dichiarazione, i diritti umani cominciano ad acquisire una discreta importanza e a suscitare il bisogno di ulteriori sviluppi giuridici e legislativi, poiché, come la stessa Carta delle Nazioni Unite aveva, già nel 1945, affermato, tra ‘mantenimento della pace’ e ‘diritti umani’ intercorre una stretta relazione e, anzi, tali diritti risultano essere una condizione indispensabile per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Perché, dunque, merita tanta attenzione la Dichiarazione, se già tre anni prima dalla sua firma, certi concetti erano già presenti nello Statuto di un organizzazione internazionale come l’ONU? Innanzitutto, il far riferimento ai diritti umani e alla loro tutela, nello Statuto dell’ONU, era principalmente concepito come un obiettivo, un obbligo graduale di agire collettivamente o singolarmente e di cooperare con l’ONU per promuovere la salvaguardia di questa categoria di diritti. Oltre a questo, questo obbligo programmatico incontrava un forte ostacolo nel concetto della domestic jurisdiction, ovvero giurisdizione interna, introdotto proprio dallo stesso Statuto, in base al quale le stesse Nazioni Unite non possono intervenire in questioni che risultino essere di competenza esclusivamente interna di uno Stato. Come se ciò non bastasse, nel 1945, la categoria dei diritti umani era ancora piuttosto vaga ed indefinita e non era sostenuta da una posizione unanime nella comunità internazionale.
Proprio per questo, la Dichiarazione ha comportato una sorta di ‘innovazione’, introducendo un vero e proprio elenco analitico e dettagliato che potesse tradurre l’espressione ‘diritti umani’. Questo catalogo è, per così dire, suddiviso in ‘generazioni’, una classificazione che non implica alcuna diversificazione di valore, bensì esclusivamente una distinzione ‘convenzionale’, atta a organizzare tali diritti.
La prima generazione è costituita dai diritti civili e politici, diritti spesso ritenuti innati in ogni essere umano e in quanto tale, riconoscibili sempre e dovunque, come il diritto alla libertà personale, ad un processo equo, il divieto di schiavitù, il diritto di associazione politica, ecc.
Nella seconda generazione rientrano, invece, i diritti economici, sociali e culturali, tra i quali figurano il diritto al lavoro, di sciopero, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, e che sono diritti che impongono di concepire l’uomo non come un’entità astratta, ma come una persona concreta, che vive qui ed ora, con i propri bisogni, le proprie esigenze e aspirazioni.
La terza generazione di diritti umani è il risultato delle istanze degli Stati del Terzo Mondo, finalizzate a realizzare la liberazione dei popoli dalla dominazione straniera, prima politica e poi economica. Sono diritti che appartengono simultaneamente all’individuo e al popolo a cui egli appartiene, come, in primis, il diritto di autodeterminazione dei popoli e il conseguente diritto allo sviluppo. Questa categoria porta con sé la considerazione che la messa in atto di un avanzamento globale della società, caratterizzato da principi come indipendenza, democrazia e sviluppo, rappresenta una condizione fondamentale per un reale godimento dei diritti dell’individuo, dal momento che tali diritti non sono fruibili realmente dal singolo, se in una società continuano ad essere mantenute condizioni di dominazione straniera, oppressione interna o sottosviluppo.
Ritengo che ricordare e tornare a parlare e discutere di documenti come questo sia di importanza vitale in un mondo come quello odierno, in cui sentimenti di insofferenza, intolleranza e odio nei confronti del prossimo e, soprattutto, dello ‘straniero’ stanno ritornando con estrema violenza sulla scena internazionale. Se non ci sforziamo di riflettere su eventi che hanno segnato profondamente la storia dell’uomo, sul risultato che essi hanno comportato e sui principi che ne sono derivati, rischieremo di incorrere nuovamente negli stessi errori e orrori del passato. Occorrerebbe ripartire proprio dal concetto sancito dal primo articolo della Dichiarazione Universale:
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Sabrina Minerva