E’ sempre una grande impresa riuscire a trovare il coraggio per superare la propria safe zone, ma ogni avventura degna di essere chiamata tale, sottende sempre un pizzico più o meno grande di sacrificio: l’esperienza dello Youth Exchange PANDA, Erasmus+ in Romania, a Curtea de Arges, è stata per me un’autentica avventura.
Una mia cara amica, sapendo del mio interesse per le culture straniere, mi ha proposto di partecipare assieme ad un Erasmus+ in Romania. La mia passione antropologica, sebbene forte, era pesantemente oppressa dall’inquietudine del viaggio, della convivenza con sconosciuti e da tutto ciò che un’esperienza simile può portare con sé.
Fortunatamente però, senza troppi pensieri e quasi non riconoscendomi, le ho detto che, sì, ci sarei stato. Il viaggio d’andata interminabile fra cambi d’aereo, caldo e barriere linguistiche era solo l’assaggio della stanchezza che mi sarebbe toccata ma, notavo sin dai primi momenti, che per quanto il mio corpo patisse la stanchezza del viaggio, la mia anima iniziava a destarsi dal torpore delle comode ma opprimenti “mura di casa”: più stanco era il corpo, più sveglio e vivo mi sentivo dentro. Il solo condividere la stanchezza di quel viaggio con i primi compagni, italiani, conosciuti da poche ore, mi faceva sorridere sinceramente dopo tanto tempo. Dopo aver incontrato con sorpresa il team turco in treno, non potevo far a meno di notare che, pur non conoscendosi, sembravano conoscersi da tempo: la stanchezza lasciò definitivamente posto alla voglia di sorridere e conoscere altri sguardi, altre menti, nel modo più sincero possibile come solo stando all’estero può succedere. Sapevo che il progetto fosse sulla prevenzione della discriminazione e sull’analisi degli stereotipi ma non pensavo che, già prima dell’arrivo in hotel, il progetto avesse già avuto inizio: dopo i primi saluti intontiti dal sonno, eravamo già lì a discutere e a confrontarci, ad imparare dal basso e spontaneamente delle reciproche culture, senza nessuna autorità che controllasse i nostri scambi di informazioni, con noi come liberi relatori e moderatori. Ero felice. Tutto doveva ancora avere ufficialmente inizio ma capii che in quei giorni le lezioni sarebbero state diverse: eravamo noi la storia e noi i narratori.
Come avevo ben intuito, una volta conosciuti gli organizzatori e gli altri team, potetti dire a me stesso: stai tranquillo, sei a casa ora. Si dice che gli altri siano parti di noi stessi, solo apparentemente fuori da noi stessi: in questo Youth Exchange ho potuto ritoccare con mano l’allegria più leggera e i discorsi più profondi, il sano isolamento e la più sana condivisione senza avere alcun tipo di timore.
L’atmosfera era veramente costruttiva: m’aspettavo degli organizzatori distanti, ho trovato dei cari amici; m’aspettavo un’atmosfera multiculturale, ho trovato la più sincera interculturalità; credevo di dover incontrare persone ma ho incontrato fratelli, ognuno coi propri pregi e difetti. L’organizzazione era così flessibile e tutti così interessati che, qualunque fosse l’attività o l’orario, tutti eravamo felicemente presenti e partecipativi. Eravamo ogni giorno sempre più stanchi ma ogni giorno sempre più carichi: cos’è la stanchezza quando sai di avere accanto delle così belle persone in un’atmosfera così rincuorante? Sono solito essere un tipo solitario e schivo da anni, ma davvero, era impossibile ritirarmi in me stesso sapendo di avere una sola settimana per conoscere al meglio così tante persone. Le attività di gruppo, da discorsi collettivi sull’origine della discriminazione a geniali cacce al tesoro per Curtea de Arges, da una gita su una montagna mozzafiato alla produzione di cortometraggi, sono state un modo per migliorare l’abilità in teamwork e di imparare con così tanto gusto da non accorgersene. Se ci ripenso era tutto così perfetto da non sembrarmi vero.
Il mio cuore è stato rapito dalle malinconiche melodie turche, scosso dall’incrollabile energia degli spagnoli, commosso dalla simpatia dei rumeni e dei polacchi e accompagnato dalla presenza degli italiani… Parlo di nazionalità consapevole di usare stereotipi ma, sebbene siamo tutti fratelli aldilà delle nostre origini, le nostre origini parlano attraverso di noi e si modificano con noi: inevitabilmente andiamo verso un mondo globalizzato e globalizzante, l’errore più grande sarebbe globalizzarsi senza la coscienza delle proprie radici e delle radici altrui. Progetti come questi, di questi tempi, sono oro e sebbene abbia delle perplessità riguardo il progetto europeo (in particolar modo economicamente parlando), non posso non dire che queste esperienze sono di vitale importanza per la crescita di cittadini del mondo educati alla diversità e alla coesistenza piu’ costruttiva. Ringrazio, sono certo a nome di tutti, chiunque abbia reso possibile tutto questo: dalla comunità europea agli organizzatori di questo progetto. Ringrazio di cuore con la speranza di poter presto riuscire di nuovo in questa avventura, qualunque siano le nazionalità coinvolte e la nazione poiché tutto ha una storia da raccontare e progetti come questo educano le orecchie e i cuori ad ascoltare con sincera passione.
Ho deciso consapevolmente di non portare con me alcun souvenir dalla Romania perché il più bel souvenir, chiudendo gli occhi, sono i sorrisi, le voci, gli sguardi, la presenza transeunte ma immanente di ogni individuo che in Romania ha incrociato amichevolmente il mio cammino.