Appena si atterra all’Aereoporto di Otopeni intitolato al padre del motore a reazione Henri Coanda si può intuire che il paese sta attraversando un periodo di transizione. Ufficialmente, la Romania è entrata nell’UE nel 2007, rendendola una degli ultimi paesi ad avere avuto accesso al club europeo. Il fatto di essere da così poco tempo all’interno dell’Unione fa sì che molte caratteristiche di una cosiddetta “Vecchia Romania” risaltino all’occhio dell’osservatore. L’imbattersi in vecchi edifici costruiti in pieno periodo socialista che attualmente stanno sentendo sulle loro facciate l’usura del tempo che passa non è una possibilità così remota: basta uscire sullo spiazzo di fronte alla stazione Gara de Nord e guardare i palazzi che si parano di fornite. Allo stesso modo non è nemmeno raro vedere scheletri di vecchi stabilimenti industriali in stato di abbandono mentre si viaggia su treni dall’aria dismessa. Ed è proprio questa sensazione di un rinnovamento necessario a farla da padrone durante il viaggio in treno fatto dalla piccola Parigi (appellativo con cui i rumeni si riferiscono alla loro capitale Bucuresti) passando attraverso infiniti campi coltivati e stazioni dall’aspetto pericolante fino a Slanic-Moldova. Il nuovo tema caldo è la questione disinformazione, per troppo tempo messa in ombra nelle politiche di sviluppo e che adesso avanza imperterrita, che possa piacere o meno. Non per niente l’argomento che è stato proposto dai giovani rumeni ai loro pari da Lettonia, Grecia, Polonia e Italia è stato la disinformazione. Da cui è assurdo il bisogno di fare un passo in più, di prendere con mano il futuro e di dargli una forma.