Luglio, l’ultimo mese da volontaria, è stato frenetico.
È stato una corsa contro il tempo. Sapevo che il progetto stava volgendo al termine quindi cercavo di fare il più possibile, a lavoro come con gli amici e i colleghi.
Al Centre de Réadaptation de Mulhouse (CRM), dove svolgevo il mio volontariato, lo spazio di babysitting per i figli degli impiegati del centro creato all’inizio della quarantena per permettere agli stipendiati di lavorare è diventato un centro ricreativo. Quindi, non avendo più limiti come in quarantena, abbiamo organizzato molte uscite come parchi divertimento, zoo, parchi avventura e uscite culturali. In più un’associazione di musica e danze africane veniva al centro per dei corsi di percussioni volti alla preparazione di uno spettacolo finale che segnasse la fine di quest’avventura iniziata a marzo e prolungata fino a luglio.
Tra il centro ricreativo e le lezioni di inglese a distanza che ho portato avanti per tutto il mese, il tempo è passato molto velocemente.
Appena finivo di lavorare uscivo per prendere un po’ d’aria, per pedalare lungo i canali o stendermi nei parchi e nei weekend con gli altri volontari cercavamo di visitare l’Alsazia e i dintorni.
Ho cercato di usare il più possibile la bici: l’Alsazia è la prima regione francese per piste ciclabili e gli spazi verdi presenti per tutta Mulhouse e i canali rendevano piacevole qualsiasi tragitto. Inoltre, in bici sono riuscita anche a percorrere parte della Strada dei vini (Route des vins), 170 km di vigneti, villaggi pittoreschi dove degustare vini e godersi il paesaggio. Un’occasione da non perdere se si visita l’Alsazia!
Tra le varie mansioni al CRM e le uscite, mi sono ritagliata anche del tempo per riflettere su quest’esperienza.
Ogni giorno c’era qualcuno che mi ricordava che a fine mese avrei finito il volontariato. I bambini, per cui ero quasi un personaggio mitologico essendo italiana ma vivendo lontana dalla mia famiglia e parlando il francese, restavano attoniti quando al loro “ma dopo ritorni qui, no?!” rispondevo che sarei ritornata ma non a settembre. Quella conversazione, che aveva luogo almeno tre volte al giorno, mi portava a pensare a tutto ciò che è accaduto in questi 7 mesi, a come mi fossi integrata in quell’ambiente e a ciò che significa far parte del Corpo Europeo di Solidarietà. Riflessioni che ho dovuto mettere anche nero su bianco con la redazione dello Youthpass, l’autovalutazione delle competenze acquisite durante il volontariato.
È stato un po’ faticoso ma ne è valsa la pena.