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Viaggiatori in Pantofole – Il racconto di Carolina

    La mia quarantena è cominciata prima di quella nazionale.
    Due mesi prima, è cominciata il 9 Gennaio. Mi ha presa alla sprovvista esattamente come ha preso alla sprovvista voi, forse un po’ di più. Le settimane che voi avete passato chiusi in casa io le ho passate chiusa in ospedale, la mia malattia ha fregato il posto al Covid-19.
    Non c’è niente che possa prepararti alla privazione della libertà, della vita così come la vivi tutti i giorni, ormai l’abbiamo capito bene tutti quanti. Io passo le giornate a cercare di non chiedermi niente, di non chiedermi perché, come, che succederà. Niente, perché mi sono promessa di essere forte. E i forti non lasciano spazio a tutte queste paure, no?
    La verità è che a volte devo fare finta, perché queste quattro mura mi fanno impazzire, questo letto è diventato una prigione e la mia catena è il tubo che mi tiene attaccata alle flebo. Ho soltanto una finestra per evadere, soltanto lei. Guardo fuori e m’immagino altrove, a fare tutt’altro, vestita in modo diverso, a vedere chissà cosa in chissà quale parte del mondo.
    Certi giorni mi sveglio e non riesco a fare altro che restare inchiodata al materasso, a fissare il soffitto, a stare in silenzio. Sono sola, completamente, i miei li vedo in videochiamata ed è tutto sospeso, come se mi fossi presa una pausa da quella che ero. Come se stessi provando i panni di un’altra. Questa non sono io.
    Mi sarebbe piaciuto, forse, passare la quarantena a preparare torte e pizze con mia madre, a preoccuparmi solo di che film guardare, ad aspettare… perché mentre tutti quanti aspettano fermi che tutto passi, io corro contro il tempo.
    Non è forse vero, dunque – ora che lo stiamo provando tutti – che vederci scivolare qualcosa dalle mani, poi, ci fa vedere tutto con occhi diversi? È banale, lo so, ma “così è (se vi pare)”.
    Piano piano tornerò a riprendere quello che mi è scivolato, come tutti, per certe cose ci vuole il giusto tempo. Adesso mi faccio bastare la speranza, il bene che mi circonda, che prende il posto dei muri e delle porte.
    E quando sento che la disperazione vuole mangiarmi, stringo i denti. Sono io che mangio lei.
    Poi ci penso, penso che alla mia vita ci ritornerò e che tutto quello che immagino dalla finestra potrò rifarlo davvero. E allora mi dico che no, i forti non sono quelli che non lasciano spazio alle paure, sono quelli che le paure le affrontano e magari le superano. E magari piangono, tanto pure Ulisse avrà pianto qualche volta, in una delle notti lontano da casa.
    E io devo essere forte, ma posso pure piangere.


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