Tornare a casa, portafoglio vuoto, cuore pieno.
Rewind. Sul nastro si sentono le voci, si incastrano i ricordi: play.
Una quindicina di giorni fa ho fatto un tuffo in un mondo nuovo, un mondo effettivamente nuovo solo per me, di cui conoscevo l’esistenza e l’importante significato che avrebbe avuto se mi fossi lasciata andare; non mi convinceva sino in fondo.
Senza un motivo apparentemente logico, rimanevo rannicchiata dietro la mia paura di non sapermi esprimere adeguatamente in inglese e di non saper interagire, così con grande facilità procrastinavo. Pause. Respiro, emozioni: partenza per Vészprem, Ungheria.
Play. Un’opportunità, quella dello Youth Exchange, che mi ha fatto cambiare idea su molte cose, persino (e soprattutto) su me stessa: incontra i tuoi limiti, non scendere mai a patti con quelli, sconfiggili. Ed è così che abbiamo combattuto le nostre paure ed i nostri limiti, le nostre perplessità e false credenze. Sei italiani ed un bullo da combattere assieme a greci, turchi, maltesi, lituani, polacchi ed ungheresi.
Ancora play. La mia memoria torna mesi addietro per un po’, quando lessi per la prima volta il tema dello scambio: il protagonista è lui, l’argomento attorno al quale gravitano tutto e tutti intorno, il collante tra nazioni, la vera ed unica lingua da usare. Parlare di cyberbullismo non è mai stato e mai sarà facile; immagina di dover confrontare la tua idea, la tua esperienza, accettare l’opinione e la cultura altrui, emozionarsi e lasciarsi andare, tutto sempre e rigorosamente in inglese.
Pause. Chi è un cyberbullo? Come posso combatterlo? Un bullo, sia esso cyber o solo un bullo in carne ed ossa, è qualcuno che ha avuto paura e per non averne più attacca; un bullo è colui che teme sia la sua idea a non essere accettata, di riflesso quindi scredita la tua; un bullo sono stata anche io, quando guardando video su internet ritraenti persone compiere gesta buffe o scattarsi un selfie un po’ troppo appariscente, ridevo. Perché il bullismo non è solo violenza fisica, ma anche screditamento, isolamento psicologico, un po’ come essere sottoposti ad un giudizio. Ed è proprio allora che scopri quanto in realtà non era così difficile e mostruoso come pensavi, esprimersi; scopri che in realtà prima di chiedere “do you understand me?” la persona di fronte a te stava pensando esattamente alla stessa cosa.
L’esperienza che ti regala chi organizza uno Youth Exchange è esattamente quella che ti porta a stare in silenzio il primo giorno perché vorresti dire tanto ma aspetti, come un bambino impaziente sulla sedia. Io sono rimasta in silenzio un giorno o poco più: perché dovrebbe essere intelligente quello che penso? perché dovrei dirlo?
Play e silenzio in stanza: è già arrivato il momento dei saluti e ti mangi le mani per quello che non hai fatto, per quello che non sei riuscita a vedere, per chi non hai avuto il tempo ed il modo di conoscere. Chi partecipa ad uno scambio come quello al quale Roberta, Silvia, Brigitta, Antonio, Fabrizio ed io abbiamo partecipato, impara a parlare con gli abbracci, a far sorridere con uno sguardo, a ballare e cantare a squarciagola, a saltare anche se si è stanchi, ad alzarsi in piedi, alzare la voce e presentarsi, o scusarsi, o dire… partite, partite ed ancora partite.